I ragazzi di bruxelles
Una delle tentazioni dei giornalisti - non la più pericolosa - è rappresentata dalle conferenze. Uno si distrae un attimo e si trova un microfono davanti alla bocca: a quel punto espira, ed è troppo tardi per tornare indietro. Succede, però, che alcune conferenze lascino un bel sapore. Spesso dipende dal pubblico, qualche volta dal luogo, altre volte dall'umore o da un episodio. Venerdì il pubblico era competente, il luogo fascinoso, l'umore ottimo ed è accaduta una cosa curiosa. Bruxelles, palazzo Charlemagne, sede del Consiglio dell'Unione Europea. I traduttori della Commissione mi avevano chiesto di parlare su "come cambia l'italiano nel mondo della comunicazione" e si sono dimostrati ascoltatori attenti, diversi dal pubblico in fase digestiva che pretende d'essere intrattenuto dopo una cena sociale. Per un'ora s'è fermato anche Romano Prodi, impegnato nel walzer degli addii. Gli ho spiegato come si scrivono gli sms a Berlusconi, e mi è sembrato interessato. Mi è piaciuto tornare, un quarto di secolo dopo, nel posto dove ho cominciato a sognare il mio mestiere. Ricordo le passeggiate timide tra le zampe mastodontiche di palazzo Berlaymont, riaperto proprio in questi giorni. Era l'autunno 1979: ero uno "stagiaire" ventiduenne, poco pagato ma molto felice, con una tesi di laurea da fare, i capelli di un altro colore, un appartamento microscopico e una Fiat 127 color nocciola. Gli "stagiaires" continuano ad arrivare alla Commissione, per uscire di casa, annusare l'Europa e imparare qualcosa. Un paio s'erano imbucati alla conferenza - nessuno s'imbuca come uno "stagiaire" - e alla fine sono venuti a chiedermi: "Viene alla nostra festa, stasera?". Ho lasciato un numero di cellulare. Nel pomeriggio, un messaggio. "Il posto si chiama 'La Bouche a L'Oreille'. Vicino al Parco del Cinquantenario. Intorno alle undici. La aspettiamo. Sarà un delirio." Sono andato e dico subito: eravamo più deliranti noi nel 1979. Gli "stagiaires" oggi