Nella Pietroburgo di fine ‘800, povera, sporca e depravata, un giovane povero e bello decide di uccidere una vecchia usuraia a cui aveva dato in pegno degli oggetti. Le motivazioni del delitto sono molteplici: la povertà del giovane, Raskol’nilkov, e la sua volontà di aiutare la madre e la sorella, anche loro in precarie condizioni economiche. Ma soprattutto a spingere Raskol’nikov a compiere il folle gesto è una sua teoria: quella dell’assoluta libertà delle persone secondo lui “superiori”, che hanno il diritto di compiere delitti per il bene dell’umanità, e in particolar modo della capacità di superarli. Orgoglioso e spavaldo, Raskol’nikov è convinto di far parte della categoria degli uomini superiori, ma ben presto si accorge che non è così. Uccise la vecchia usuraia e sua sorella, il protagonista precipita in uno stato mentale instabile, si ammala, è preso più volte dal delirio. La sua salute preoccupa chi gli sta vicino, che non sospetta minimamente la causa del dolore di Raskol’nikov. In un notevole intreccio di storie e personaggi, il giovane tende a negare la sua colpevolezza, ma si innamora di una ragazza, Sonja, e le confessa il delitto. Solo una persona, un abile investigatore, sospetta di Raskol’nikov, seguendo le sue reazioni psicologiche, e lo convince a costituirsi. Anche il lettore, trattandosi di un romanzo psicologico, può seguire costantemente gli sviluppi della faccenda sempre secondo la prospettiva del protagonista, il cui animo è indagato a fondo dall’autore. Scritto nel 1866, il romanzo di Dostoevskij rappresenta in modo molto efficace la società del suo tempo, la realtà russa Ottocentesca.
L’autore, esprimendo i più remoti, intensi, talvolta angoscianti pensieri del protagonista, lascia spazio a molteplici interpretazioni riguardo alla storia e ai caratteri dei tanti personaggi che compaiono sulla scena. Le personalità che si intrecciano nel corso della storia sono solitamente visti secondo il punto di vista di Raskol’nikov, anche se il