Analyse strategie hermes
Parigi. Dal nostro corrispondente
“Vogliamo essere molto gentili, ma la famiglia lo dice chiaramente e all’unanimità: se davvero il suo è un atteggiamento amichevole, signor Arnault, faccia un passo indietro, se ne vada”. Dopo i comunicati ufficiali e le dichiarazioni informali dei giorni scorsi, Hermès ha scelto la strada di un’intervista al quotidiano Le Figaro dei suoi due massimi dirigenti – l’amministratore delegato Patrick Thomas e Bertrand Puech, presidente del consiglio di gestione e della società che riunisce gli eredi, la Emile Hermès – per chiarire in maniera inequivocabile cosa pensa dell’ingresso a sorpresa nel proprio capitale del gruppo Lvmh.
Thomas è il più duro, quasi sferzante, come un aristocratico che parla del bottegaio arricchito: “L’operazione non ha nulla di amichevole. Non c’era alcuna minaccia da parte di fondi d’investimento, di altri industriali del lusso o di gruppi cinesi, come invece afferma Lvmh. Hermès non ha alcun bisogno di aiuto, di sostegno e ancor meno di un tutore, contrariamente a quanto pensa Bernard Arnault. D’altronde basta guardare le performance dei due gruppi dal momento del nostro ingresso in borsa nel 1993. L’aumento medio annuo del nostro utile netto è stato del 14,7% rispetto al 7,6% di Lvmh. Il valore del nostro titolo si è moltiplicato per 35, quello di Lvmh per 6. Insomma, se proprio uno dei due ha bisogno di aiuto, quello non è Hermès”.
C’è poi il capitolo del mondo in cui Lvmh è entrato in possesso del 17,2% di Hermès, del quale peraltro si sta occupando anche l’Autorithy dei mercati finanziari (Amf). Il cui presidente ha recentemente ammesso che è stato un errore non prevedere che gli equity swap vadano presi in considerazione alla stregua di titoli effettivamente posseduti nella comunicazione del superamento delle soglie.
“Se qualcuno può rastrellare due terzi del flottante di un gruppo senza essere tenuto a comunicarlo al mercato – dice Thomas - evidentemente c’è qualcosa che non